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Pantani Bike Project

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Pantani Bikes è un progetto che ricerca il perfezionamento di tre opzioni: radicarsi nella storia, salvaguardare l’essenza del ciclismo e creare biciclette per la contemporaneità. L’evoluzione continua è il nostro mestiere. Mettersi costantemente in gioco, non accontentarsi mai, accettare le sfide più ardue. Lo sguardo è rivolto al futuro. Tecnologie informatiche, galleria del vento, materiali compositi, design d’avanguardia, assemblaggio custom made, per soddisfare le nuove esigenze di chi pretende il meglio. Supera la tradizione, sublima l’esperienza del passato e conferisci alla tua bicicletta il carattere del futuro. Il carattere di una Pantani Bike.

Bikes

CORSAIR - PER MORDERE LA STRADA

Il carattere di una bicicletta lo si scopre, chilometro dopo chilometro. Ma già alla prima pedalata Corsair svela nuovi orizzonti. Le performances non costituiscono un problema, grazie alla straordinaria stabilità e le innovative caratteristiche fisico-strutturali del telaio, derivanti dalle più moderne applicazioni delle scienze dell’aerodinamica, dalla scelta di inedite soluzioni geometriche e dai nuovi sistemi adottati nel ciclo produttivo di Podium.

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TEMPEST - UN SOLO COMPITO: LA VELOCITA'

Le geometrie leggere e filanti, la forcella in fibra di carbonio, lo sterzo integrato, l’assemblaggio con sistema Monocoque UD, fanno della bicicletta Pantani Tempest il nuovo paradigma nell’ambito delle biciclette da corsa. Linee cool, armonia di forme, colorazioni e nuances in varie opzioni, per personalizzare ogni singolo dettaglio ed ottenere il massimo in termini di comfort e prestazioni. Tempest è davvero una bicicletta extra-ordinaria: nata dalla storia del ciclismo moderno, non dimentica i traguardi del passato ma utilizza la tecnologia del presente per permetterti di correre nel futuro.
Tempest è costruita per assolvere un solo compito: essere la più veloce.

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NERO - LA FORZA DELL’ELEGANZA- LO STILE DELLA VITTORIA

Leggerezza ed raffinatezza per una bicicletta scorrevole e rigida sotto sforzo, nell’esatto dosaggio di tecnologia e apporti artigianali che contraddistinguono la Pantani Nero.
La Nero è come un abito di fattura sartoriale. Sei tu a scegliere: costruita sulle tue misure di atleta, perfetta nello stile, sorprendentemente elegante nelle forme e nella sua livrea black. L’inesausta attenzione che caratterizza Podium nell’ambito della ricerca sui materiali trova qui la massima espressione: disegnata per ottimizzare le performances di ogni atleta la Nero mostra tutto l’appeal della perfetta sintesi fra tradizione e innovazione.

Storia Pantani

Una vita come un romanzo, un’infinita odissea, una tragica ed assurda fine, povero, indimenticabile, straordinario Marco. E noi che lo ricordiamo con infinita commozione e immutato affetto, vogliamo riproporre innanzitutto i suoi trionfi, la sua splendida grandezza di campione che faceva sognare le folle.

Marco Pantani nasce a Cesena il 13 gennaio 1970. Ma il suo borgo è quello di Cesenatico, il porto canale, il mare, le suggestioni di una giovinezza ormai lontana. La famiglia è quella di papà Paolo, che all’anagrafe si chiama Ferdinando, dell’adorata mamma Tonina, della sorella Laura, che però tutti chiamano Manola.

Papà fa l’idraulico, la mamma gestisce un chiosco per la vendita di piadine, panini, bibite e gelati. Si lavora duro anche per garantire un futuro migliore ai figli, ai nuovi arrivati.

Il piccolo Marco cresce come tanti altri ragazzi in quegli anni 70, fra scuola e giochi. Gli piace il calcio, si sente naturalmente un’ala destra, piccolo e veloce, ma in realtà la porta la vede sempre da molto lontano, spazzato via in area di rigore da difensori più grossi e decisi di lui. E l’allenatore lo relega spesso in panchina.

Così, quasi per caso, andò in cerca di nuove emozioni aggregandosi al gruppo dei ragazzini che pedalavano con entusiasmo in bicicletta, nella locale società dedicata a Fausto Coppi. Lui, una bici da corsa ancora non la possedeva, però suscitò fin da subito curiosità ed attenzione fra i tecnici di quei ragazzini, perché con quella da passeggio riusciva a far meglio di tanti che pedalavano su di un modello da corsa.

A scuola Marco era bravo ma non si divertiva molto. Meglio le scorribande in bicicletta, anche perché c’era un primo tifoso pronto a sorreggerlo con grande entusiasmo. E’ suo nonno, è nonno Sotero.

Quando Marco compie 12 anni il nonno gli regala la prima vera bici da corsa, una Vicini (campione romagnolo dell’epoca classica) rossa fiammante.

Marco adora quel mezzo, a tal punto da tenerla in inverno nella vasca da bagno, per pulirla meglio, per montarla e smontarla, fra le ire di mamma Tonina.

La stagione delle prime corse serve a scoprire un mondo nuovo. La squadra, come s’è detto, è la Fausto Coppi di Cesenatico, Nicola Amaducci il primo tecnico. Ed il 22 aprile ’84 arriva anche la prima vittoria, quella che non si scorda mai. A 14 anni Marco batte tutti a Case Castagnole, poi vince anche a Serravalle, a Pieve Quinta, vince finalmente in salita, l’amata salita, a Pieve di Noce.

Non passano inosservate quelle vittorie, a tal punto che viene convocato nella rappresentativa regionale per i campionati italiani esordienti a Isernia. A quell’età quella chiamata ha il sapore di una maglia azzurra.

Nell’85 Marco è allievo, il nuovo tecnico si chiama Vittorio Savini, che poi diventerà presidente del Club Magico Pantani. Ed è fra gli allievi che Marco scopre d’avere un rapporto realmente speciale con le salite. Vince una gara importante arrivando al Monte Coronaro e si diverte ad adottare una tattica speciale. In pianura sta in fondo al gruppo, poi quando s’inizia l’arrampicata finale comincia a rimontare posizioni su posizioni, sino a staccare tutti. marco pantani 10

Mi diverto così – disse un giorno al tecnico Savini – voglio vederli soffrire, i miei avversari. Voglio vederli quando si staccano mentre li rimonto. Savini ha ricordi precisi di quel ragazzino, sempre allegro, pieno di voglia di vivere, autore di scherzi storici agli amici, meticoloso e preciso nel rapporto con la sua bicicletta.

Il passaggio fra gli juniores non è facile. Marco incontra avversari più maturi di lui a dispetto della stessa età, fisicamente già formati e che brillano a livello internazionale. Marco però non smobilita di certo, prosegue l’avventura e fra i dilettanti debutta alla Rinascita di Ravenna, gloriosa società, fucina di giovani talenti presieduta da Jader Bassi.

Ma nel ’90, nella stagione dei suoi 20 anni, ecco l’ingresso alla Giacobazzi di Nonantola, alla corte di un tecnico che diventerà un preciso punto di riferimento per Marco. Si chiama Pino Roncucci, un personaggio importantissimo – dirà Marco – per tutta la mia vita;.

Ed ecco le prime vittorie ad effetto, quella ormai famosa cronoscalata della Futa, alla quale prendono parte dilettanti e professionisti. Marco non solo batte tutti i dilettanti, ma sfiora anche il tempo realizzato da Gianni Bugno, che è già campione del mondo. Vince pure la cronoscalata da Berceto a San Moderano, vince il Piccolo Giro dell’Emilia, vince una tappa del Giro d’Italia dilettanti. E’ questa la corsa che più l’affascina, il Giro baby, anche perchè lui già pensa a quello dei professionisti, Ed a 20 anni, alla prima esibizione in quella sfida nel ’90 sale già sul podio, terzo alle spalle di Vladimir Belli e di Ivan Gotti. Terzo nonostante la caduta nel prologo e la lussazione di una spalla. Disputerà tutta la gara con una speciale fasciatura in preda a dolori fortissimi. Una prova di carattere molto importante.

Marco è secondo al Giro d’Italia ’91, alle spalle di Casagrande e vincendo l’attesa tappa di Agordo.

Poi, nel ’92 ecco il trionfo spettacolare e rocambolesco, aggiudicandosi pure le tappe di Cavalese ed Agordo, dando spettacolo in montagna con una serie di imprese straordinarie e tali da commuovere quei due che lo seguono con entusiasmo e felicità, papà Paolo e Pino Roncucci, davvero due grandi figure per lui.

Era un fenomeno, il giovane Marco – ricorda Roncucci – possedeva qualità straordinarie, un cuore che batteva a 36-38 pulsazioni al minuti. E con un recupero prodigioso, visto che poco dopo un intenso sforzo quel cuore riprendeva il suo battito lento. Ecco perché poteva permettersi di scattare più volte in salita. E poi il suo rapporto peso-potenza era straordinario: in montagna faceva girare in fretta le gambe, però spingendo un rapporto pesante.

Pantani era dilettante ma con nel cuore e nella mente un solo obiettivo: debuttare in fretta tra i prof. Ed aveva già scelto lui la squadra, la Carrera di Davide Boifava, affascinato dalle imprese di Chiappucci, ma prima ancora di Roche e Visentini, di Bontempi, Leali, Ghirotto e tutti gli altri sulle strade del Giro d’Italia e del Tour de France, i suoi futuri scenari.

Davvero divertente e persino un po’ commovente quel primo incontro con Davide Boifava. Marco si recò da lui accompagnato dall’inseparabile Pino Roncucci. Era il ’91, Marco doveva restare ancora una stagione fra i dilettanti. Ci restò e vinse il Giro baby in maniera più che mai spettacolare. A quel punto si fecero vivi in tanti per ingaggiarlo al debutto tra i prof. Ma fu lui a richiamare Boifava. Davide ricorda ancora bene quella telefonata:

Quando ci possiamo vedere? Io ho una sola parola e confermo che voglio debuttare alla Carrera.

Ci fu l’incontro, quelle splendide intenzioni di Marco:

Guarda Davide che ad ingaggiarmi fai tu l’affare perché io diventerò un vero corridore. A proposito, nel contratto non c’è scritto quanto guadagnerò in caso di vittoria al Giro e di vittoria al Tour.

Aveva 22 anni, Boifava sorrise divertito e scrisse su di un altro foglio di carta quelle cifre. E concluse l’incontro con una forte stretta di mano.

Non fu facile il debutto tra i professionisti, come quasi sempre accade ad un giovane. Avvenne il 5 agosto ’92 al Gran Premio di Camaior,e dopo i Giochi Olimpici di Barcellona. Lo stesso giorno di Casartelli, di Rebellin. Il giorno in cui vinse a sorpresa Davide Cassani.

Un po’ tribolata per Marco la stagione ’93, la stagione di tante esperienze. Andò anche a provare Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, le grandi classiche belghe. Debuttò al Giro d’Italia, quello della replica di Miguelon Indurain. Però a causa di una tendinite nel finale dovette ritirarsi, per non compromettere il futuro, su precise indicazioni di Davide Boifava.

La prima vera impresa, uno dei più grandi scalatori della storia ciclistica, Marco Pantani la realizza in discesa. Come fosse uno strano gioco del destino. Giro d’Italia del ’94, quello della nascita di una nuova stella, anzi una delle più grandi meteore dei tempi moderni, Eugenio Berzin.

Tappa di Merano, passo di rando VTT. Pantani scatta in salita e guadagna poche centinaia di metri. Poche. C’è una lunga picchiata su Merano. A tanti fa gola quella tappa. In tanti sono pronti alla replica. Ma Pantani, va, insiste, adottando in bicicletta quella posizione strana e pericolosa. Si alza dalla sella e fa scivolare il sedere fin quasi a contatto con la ruota posteriore, alla ricerca della massima aerodinamicità, disegnando traiettorie perfette con freddezza e precisione agli 80 all’ora.

Una lunga e spettacolare picchiata. A Merano Pantani è ancora solo, ha 40” di vantaggio. Solo fra gli applausi della gente.

Sì, proprio in quella città in cui le bici Carrera, come quella di Marco, colsero un altro spettacolare trionfo, molto applaudito da tutti, 8 anni prima, quando Roberto Visentini in maglia rosa vinse il Giro d’Italia ’86.

Pantani alza le braccia, ha vinto. Dietro di lui Bugno batte allo sprint Chiappucci e gli altri per il secondo posto, dando ancora maggior valore a quell’ordine d’arrivo. E’ festa grande nel clan Carrera. Ma in realtà la festa è appena cominciata.

Nella giornata successiva c’è la tappa più attesa di quel Giro, quella del Mortirolo, quella della definitiva consacrazione di un nuovo mito. Si scala lo Stelvio nella fase d’avvio, poi la tappa entra nel vivo proprio sul Mortirolo. E Pantani attacca con tanta grinta.

Indurain, esperto quanto basta, non replica a quegli scatti che fanno davvero male. Berzin in rosa, invece, ci prova. Riprende Marco, che lo guarda negli occhi, lo vede un po’ stravolto e riparte. La folla sembra impazzita ai bordi della strada: è nato davvero per tutti un nuovo idolo. Pantani è primo sul Mortirolo. Indurain però sa riprendersi. E Boifava al volante dell’ammiraglia che lo segue, va a fermare Marco. Deve aspettare Indurain e Nelson Rodriguez. Hanno interessi comuni contro Berzin in crisi.

E poi c’è ancora un colle, quasi inedito, il valico di Santa Cristina, che porta in Valtellina. E su quel colle Marco va nuovamente all’assalto. Una, due, tre volte. Fin quando Indurain, padrone incontrastato del Giro e del Tour, entra in crisi. Arranca e deve arrendersi. Non gli era mai accaduto.

Pantani è solo, Pantani piomba sul traguardo dell’Aprica fra scene di giubilo e di commozione. Era da tempo che il ciclismo non sapeva più offrire alla gente simili emozioni. Un trionfo. Distacchi abissali.

Chiappucci, che ha saputo riprendersi, lascia lui pure Indurain, è secondo ma a 2’52” da Marco. Lo stesso Indurain perde 3’30”. Berzin addirittura 4’06”.

Purtroppo quel Giro d’Italia non era molto adatto agli scalatori puri. Non c’erano altre montagne simili al Mortirolo a ridosso dei vari traguardi di tappa. E Berzin si salvò, restando in maglia rosa sino all’epilogo di Milano.

Pantani chiuse al secondo posto, davanti a Indurain. E accetta la sfida al Tour de France. Ma Indurain, padrone del campo, non si dimentica degli sgarbi di Pantani e gli impedisce di vincere una tappa, promuovendo le fughe da lontano dei suoi fidati amici. Però Marco sa comunque dar spettacolo in montagna. Ed i francesi si innamorano di lui. Nella difficile tappa di Val Thorens cade nella fase d’avvio e picchia forte il ginocchio e la coscia contro la roccia. Il medico gli consiglia di abbandonare. Lui con tanta rabbia in corpo, soffrendo dolori atroci cerca invece di reagire. Attacca addirittura in salita, alle spalle dei fuggitivi di giornata. Stacca Indurain a dispetto del ginocchio sanguinante. Coglie solo un piazzamento quel giorno, però sufficiente a farlo conoscere a tutti. L’Equipe, prestigioso quotidiano parigino, pubblica infatti in prima pagina una foto gigante di Pantani con un titolone ad effetto : Eroico, senza citare più di tanto chi ha vinto quella tappa e chi vincerà il Tour de France.

Lui, Marco, è terzo sul podio a Parigi, alle spalle di Indurain e Ugrumov. E c’è una foto in cui guarda la maglia gialla e sembra dire : stai attento, perché presto quella sarà mia.

Pantani 2 Il ’95 dovrebbe essere la stagione della grande conferma, sui traguardi della leggenda e del mito, il Giro d’Italia e il Tour de France. Ma il destino, implacabile e spietato, è sempre in agguato.

Primo maggio, Marco esce di casa di buon mattino per un proficuo allenamento. Al pomeriggio si parte per il Giro di Romandia, l’ultima messa a punto in vista del Giro d’Italia, la grande sfida contro lo svizzero Rominger, favorito dalle cronometro e che bisogna far fuori in montagna.

Marco quel mattino pedala verso le colline attorno a San Marino, imbocca la via Emilia, c’è traffico ma non troppo, c’è anche un incrocio verso Sant’Arcangelo ed una Fiat Punto che sta arrivando. Ma come tutte si fermerà allo stop, nessun problema.

E invece no, quell’auto non si ferma, quell’autista distratto si immette sulla via Emilia, non vede il ciclista. Marco frena, ma è troppo tardi. Attutisce il volo atterrando sulla mano, lanciando un urlo. Momenti di panico e di terrore, la gente riconosce subito il giovane campione, lo stesso automobilista accorre atterrito, tifa anche lui per Marco, che è a terra incredulo e stordito, sanguina dallo zigomo.

L’ambulanza lo porta in ospedale, la prima diagnosi parla di trauma cranico non commotivo, contusioni varie, escoriazioni assortite. E fra le contusioni, c’è quella al ginocchio destro. Quella che gli impedirà di correre il Giro d’Italia che s’inizia dopo una decina di giorni.

Una rinuncia atroce per Marco. Ma non c’è nulla da fare. Meglio rassegnarsi e puntare alla replica al Tour de France.

Avvilito e deluso, Marco lo prepara al Giro di Svizzera. E lascia il segno vincendo per distacco la tappa di Flumserberg con arrivo in salita, staccando tutti gli avversari alla sua maniera. E’ pronto per le montagne del Tour. Ma in Francia, come sempre, ci sono troppi chilometri a cronometro dedicati a Indurain ed a Rominger. Bisogna rassegnarsi. Però sulle Alpi e sui Pirenei si può dar spettacolo.

La decima tappa propone la mitica scalata all’Alpe d’Huez, lo montagna tenuta a battesimo da Fausto Coppi nel ’52. Una delle cime della leggenda del ciclismo. E Marco lassù si scatena, attacca da lontano, costringe alla resa tutti gli avversari. Realizza il nuovo record di scalata sulla montagna dove non solo Coppi ma anche Hinault, Fignon, Zoetemelk, Thevenet, LeMond, Bugno si erano esibiti con una serie di numeri ad effetto.

Accolto dal boato della gente, Pantani è primo e solo al traguardo con 1’24” su Indurain, Zulle e Riis. Tutti gli altri subiscono distacchi ben più pesanti.

Ma la recita non è finita, la replica è nell’aria. Marco la offre sui Pirenei, traguardo di Guzet Neige. Questa volta non aspetta l’ultima salita per attaccare. Si muove sulla penultima e gli avversari, che ormai lo conoscono bene, non replicano neppure. Pantani vince e lascia Indurain a più di due minuti e mezzo. Peccato per quelle dannate gare contro il tempo, niente podio a Parigi.

E’ un Tour de France segnato da una tragedia immane quello del ’95, proprio sui Pirenei, dopo la giornata di riposo. Scendendo a folle velocità dal Portet d’Aspet, Fabio Casartelli cade e non si rialza più. Perde la vita, in maniera assurda, per una corsa in bicicletta. A casa lo stavano aspettando i genitori, la moglie Annalisa, un bimbo di due mesi che non per caso avevano chiamato Marco. E Pantani è scosso da quel dramma, come tutti.

La stagione ‘95 propone un’appendice inedita e suggestiva: il Mondiale su strada non si corre più in agosto, bensì in ottobre, a fine stagione. E si corre in Colombia, sulle Ande, a Duitama, su montagne più vicine ai tremila che ai duemila metri. Un tracciato davvero adatto a Marco.

E’ lui il protagonista fra gli azzurri di Martini, lui più di Bugno, Chiappucci e gli altri. Ma viene purtroppo preso nella tenaglia spagnola formata da Indurain e Olano. Marco saggiamente controlla Indurain. E gli sfugge Olano. In salita vorrebbe dar spettacolo, ma non ci riesce e confessa al citì Martini il vero problema:

La pioggia, quel temporale maledetto, avevano reso viscide le strade e scattando in salita in piedi sui pedali, alla mia maniera, la ruota scivolava e non potevo far selezione come sulle montagne del Giro e del Tour.

Olano diventa irraggiungibile nel finale anche per Indurain, che deve lasciarlo andare. Miguelon è secondo, battendo in volata proprio Pantani che si mette comunque al collo una preziosa medaglia di bronzo. Come dire che potrebbe far bene in futuro anche in certe classiche. Ed è il caso di riprovarci subito, proprio in quella di chiusura, il Giro di Lombardia che nel passato storico aveva sempre premiato i grandi protagonisti delle leggendarie gare a tappe, cominciando con Coppi e Bartali.

Pantani è quasi costretto a correre, in preparazione del Giro di Lombardia, la Milano-Torino, la classica più antica del mondo, prima edizione addirittura nel 1876. Gliela impone, quella corsa, il team manager Boifava. Per mantenere un buon ritmo in vista del Lombardia in programma tre giorni dopo.

E’ il 18 ottobre ’95. Ed il destino si diverte ancora una volta a tarpargli le ali.

Marco alla Milano-Torino prende un po’ troppo alla lettera le parole del team manager e bada solo ad allenarsi. Si stacca in salita verso Superga, quasi non intendesse far fatica. Si stacca anche dal gruppone di Chiappucci già in ritardo dai primi. E Boifava gli suggerisce di riportarsi in quel gruppo sulla panoramica di Superga, prima della discesa su Torino. Per evitare i fischi della gente, le polemiche. E’ pur sempre reduce da un eccellente mondiale.

Ma ecco dove il destino è in agguato. Nella picchiata sulla città di Torino dalla collina. Ci sono già state alcune cadute e le ambulanze hanno avuto il loro lavoro. Alle spalle del gruppone di Chiappucci, ne è rimasta una di servizio ed i vigili urbani, addetti al controllo delle strade vedono quella vettura e pensano sia il segnale che la corsa è finita, che non ci sono più altri corridori. Così liberano il traffico dalle viuzze laterali per le vetture che devono risalire a Pino Torinese.

Proprio nel momento in cui Pantani e gli altri ritardatari si tuffano come folli sulla città. Così nel bel mezzo d’una curva a sinistra, Marco e gli altri corridori si ritrovano contro una Nissan Pajero ferma sulla carreggiata con l’autista terrorizzato. L’impatto è terrificante. La frenata istintiva di Pantani attutisce un colpo che poteva essere mortale. Volano pezzi di bicicletta fra schizzi di sangue e urla di sorpresa e di dolore.

Marco si tocca istintivamente la testa, tutto a posto, non ha perso conoscenza. Però il dolore alla gamba è lancinante e quando si guarda l’arto, deve trattenere un conato di vomito. Il perone e la tibia spezzati in due sono usciti dalla pelle. Marco grida e piange. Non è il solo. Secchiari ha il bacino fratturato, Dall’Olio il femore in pezzi.

Ecco un nuovo tragico ed assurdo capitolo dell’odissea di una vita, quella di Marco. Sono lunghi i giorni di degenza al CTO di Torino. La doppia frattura è grave. Potrà recuperare come uomo, certo. Ma come campione?

E che vita tribolata fin da ragazzo, povero Marco. A 15 anni in bici era già finito contro un pullmino, fratturandosi il naso. Poi si scontra contro un’auto, in gara e si frattura una clavicola. A proposito di auto: a 18 anni, con in tasca soltanto il foglio rosa, ancor senza patente, per evitare un’altra vettura che gli sta venendo addosso, fa un frontale contro un muretto. Si frattura un osso del piede, è costretto a mettersi uno stivalone di gesso ma riesce ad allenarsi anche così.

Ed appena glielo tolgono, quel gesso, anzichè pensare alla riabilitazione, Marco si iscrive ad una corsa. La chiude al quinto posto in volata soltanto perchè non può alzarsi sui pedali per disputare lo sprint.

Ma torniamo a quel maledetto incidente di Torino, che ebbe anche assurdi strascichi giudiziari. Marco venne accusato di frode sportiva, cioè che stava cercando di vincere la Milano-Torino grazie al doping, soltanto perchè in ospedale l’ematocrito ai primi esami risultò altissimo. Il segno che aveva assunto la famigerata Eritropoietina?

Ma no, Marco non voleva neppure correrla la Milano-Torino, non pensava proprio a vincerla, la correva per allenarsi in vista del Giro di Lombardia. Nel marzo 2001 il tribunale lo condannò: tre mesi di carcere con la condizionale. Nello stesso autunno la Corte d’Appello di Bologna revocò quella condanna. Però quella vicenda ferì tantissimo Marco, ma davvero tanto.

Il problema principale dopo quel drammatico incidente era comunque quello di riprendere a correre. La rieducazione e il recupero furono tremendi. E dimostrarono che il Pirata, come cominciavano a chiamarlo i suoi tifosi, era in possesso d’un carattere e d’una grinta fuori dal comune.

Al fianco del campione fu importante in quell’occasione, la figura del professor Terragnoli a Brescia, per la rieducazione fisica ed il completo recupero. Marco fu comunque costretto a disertare tutta la stagione ’96. Riprese nel ’97, con una nuova maglia, quella della Mercatone Uno, perchè la Carrera, dopo una vita passata nel ciclismo, aveva deciso di concludere la sponsorizzazione.

Al fianco di Marco Pantani arrivò in qualità di presidente del nuovo gruppo sportivo Luciano Pezzi, caro amico del patron della nuova squadra, Romano Cenni.

Pezzi era una figura di notevole carisma nel ciclismo, gregario di Coppi in maglia tricolore al Tour de France negli anni cinquanta, tecnico di Gimondi e Adorni nella mitica Salvarani negli anni sessanta. Pezzi sostituì in pratica la figura di Davide Boifava, il quale, impegnatissimo nell’azienda di biciclette e d’abbigliamento Podium, che stava allestendo con somma cura, intendeva abbandonare un ruolo così impegnativo nel grande ciclismo agonistico. Sull’ammiraglia di Pantani rimase comunque come direttore sportivo il tecnico che già lo guidava alla Carrera, all’insegna d’una apprezzata continuità, vale a dire Beppe Martinelli.

Ed eccoci alla stagione ’97. Marco Pantani torna in gruppo come un miracolato. E ci si rende conto in fretta che potremo ancora e sempre contare su di lui. E’ fra i protagonisti delle classiche belghe, lui che pensa sempre e soltanto a Giro e Tour. Arriva quinto sul celebre Muro di Huy alla Freccia Vallone. Ottavo a Liegi, contro rivali che puntano tutta l’annata su quelle sfide. Lui invece medita i nuovi assalti alle grandi gare a tappe dell’estate. Ma per l’ennesima volta non ha fatto i conti con la sorte.

Al Giro d’Italia nel ’97 partito dal Lido di Venezia, Pantani vive in terra partenopea l’ennesimo assurdo dramma. Scendendo dal valico del Chiunzi, a 20 km dal traguardo di Cava dei Tirreni, tappa più che mai interlocutoria in attesa delle grandi montagne, si verifica l’ennesima caduta. Pare sia colpa di un gatto nero che ha attraversaro la strada.

Vanno a terra per primo lo svizzero Puttini, poi Moos, Meyer, Buenahora e per ultimo lui, Pantani. Finisce contro la scarpata, si rialza in fretta, sistema alla meglio la bici, ma si capisce subito che è un po’ choccato. Risale in sella, le ossa sono intatte, però il dolore alla coscia è fortissimo.

Niente da fare, non servono neppure le lacrime, diagnosi spietata: lacerazione muscolare, del bicipite femorale sinistro, con vasto versamento di sangue all’interno del muscolo. Tradotto in breve, addio al Giro d’Italia. Si torna a casa pensando al Tour de France, con la gente che scrive nuovi slogan sui muri: Marco, devi farti benedire.

E’ un Tour de France frenetico e spietato quello del ’97. Si cade spesso nella fase d’avvio e Marco si prende notevoli spaventi. Ma finalmente il destino non si accanisce più contro di lui. Ed all’Alpe d’Huez, ancora una volta sulla montagna della leggenda, il Pirata coglie la sua clamorosa e commovente rivincita. Attacca alla sua maniera appena lasciato il piccolo centro di Bourg d’Oisans, nei pressi del primo tornante. Nessuno ha il coraggio di seguirlo. Il campione francese Laurent Jalabert dirà:

Quando vedo Pantani scattare in salita in quella maniera, mi volto dall’altra parte.

Marco sale con addosso una grinta incredibile, come volesse prendersi mille rivincite sul mondo. La folla avverte il suo arrivo e lancia un urlo che viene su dalla valle verso la montagna come un immenso boato da stadio. Sul traguardo, solo a braccia alzate, il Pirata lancia un urlo che si sovrappone a quello straordinario caos di ogni grande arrivo di tappa. E’ un urlo liberatorio a segnalare a tutti la fine di un incubo.

E’ più forte di prima, ha addirittura ritoccato di una trentina di secondi il record di scalata che già gli apparteneva: 37’35”. E risale al terzo posto in classifica, nonostante le condizioni non brillanti dell’avvio a causa della sosta al Giro d’Italia.

Procedevo in quella scalata – raccontò la sera stessa Pantani – senza neppure vedere la strada, quasi alla cieca. Mi guidava la gente, che sembra venirti addosso, poi si sposta, ti lascia passare, ti indica la traiettoria. Sensazioni uniche, indimenticabili.

Marco vince anche a Morzine, sempre per distacco, non si arrende ad un principio di bronchite, lotta con accanimento per cogliere il terzo posto e salire ancora sul podio a Parigi. Con la certezza che il bello verrà la stagione prossima.

PANTANI 3 Il ’98 è la stagione magica della leggendaria doppietta: Giro d’Italia e Tour de France nella stessa estate. Fra i grandi campioni del ciclismo italiano uno solo c’era riuscito a centrarla nell’aureo passato. Si chiamava Fausto Coppi. Nessun altro.

Pantani affronta il Giro d’Italia in condizioni non brillantissime. Ma si rende conto che la forma migliore arriverà strada facendo, quando si scaleranno le grandi montagne. Dunque non si preoccupa più di tanto il giorno in cui lo svizzero Alex Zulle lo batte sul primo traguardo in quota della corsa a Lago Laceno, in Campania, indossando la maglia rosa.

Marco entra in scena quando si risale la penisola arrivando a Piancavallo, in terra friulana, una montagna dedita più allo sci che al ciclismo. Attacca nel finale alla sua maniera, con quella serie ravvicinata di scatti e sia Zulle che il russo Tonkov non ce la fanno a seguirlo. Vittoria di tappa con vantaggio minimo. Buon segno.

I problemi tornano ad affiorare nella mente di Marco il giorno della cronometro di Trieste. Zulle è scatenato, parte alle sue spalle, tre minuti dopo, essendo primo in classifica e addirittura nel finale lo raggiunge. Lo passa senza degnarlo di uno sguardo. La botta psicologica è notevole. Ma per fortuna adesso arrivano le montagne vere, le Dolomiti.

Traguardo a Selva di Valgardena, colli mitici da affrontare, Pordoi, Sella, Gardena, San Pellegrino. Marco si scatena, Zulle va in crisi. Il solo a resistere al Pirata è il bergamasco Guerini, al quale Marco concede con generosità la vittoria di tappa in virtù del gran lavoro svolto in testa alla corsa. Per lui quel giorno c’è un premio ben più grande. La maglia rosa, il frutto a lungo proibito.

Ma l’avventura non è finita. Zulle va definitivamente alla deriva salendo a Pampeago, traguardo trentino in quota del Giro molto spettacolare. Cambia il rivale, adesso è il russo Tonkov a far paura perché quel giorno vince addirittura la tappa davanti a Marco. Ed ha a disposizione ancora la crono di Lugano.

Ma ecco nell’aria l’ennesimo capolavoro, la micidiale stoccata di Montecampione, ultimo traguardo in salita del Giro ‘98 in terra bresciana. Pantani scatta più volte, Tonkov lo segue con grinta, poi anche lui deve arrendersi. Il boato della gente annuncia che Marco è solo in maglia rosa verso il trionfo di giornata e poi il trionfo al Giro. Gli rifila un minuto al rivale russo, è al sicuro anche in vista della crono di Lugano, nel corso della quale non concede nulla al rivale, caricato a mille da quel glorioso simbolo del primato che ormai gli appartiene, la maglia rosa.

Domenica 7 giugno ’98 Milano accoglie trionfalmente Marco Pantani. Ha vinto il Giro d’Italia, più forte di tutto, anche dell’inquietante destino.

Adesso si tratta di andare al Tour de France per l’attesa replica. Ma evidentemente Marco non può mai gioire completamente nella vita. Pochi giorni prima della partenza per il Tour muore Luciano Pezzi, il presidente, il confidente, il consigliere del campione e dell’uomo. L’unico ai suoi occhi in possesso d’un accertato carisma.

Una ferita notevole per la sensibilità di Pantani, che va al Tour de France, alla partenza da Dublino, in Irlanda, con addosso tanta amarezza e qualche perplessità di troppo. Fra l’altro è una corsa per l’ennesima volta sbilanciata in favore di chi va forte a cronometro e non per gli scalatori, quelli che sanno pur sempre entusiasmare la gente.

Parte male, Marco. Nel prologo a cronometro chiude fra gli ultimi, concedendo ben 4’32” al tedesco Jan Ullrich, l’ultimo vincitore, il favorito, in circa 6 km. E’ una corsa già segnata?

E’ una corsa che rischia di non arrivare neppure a Parigi a causa dell’affare Festina. La squadra francese è accusata di doping organizzato. Alla frontiera tra Francia e Belgio viene perquisita la vettura del massaggiatore Willy Voet che sta andando alla partenza della Grande Boucle e gli trovano dose massicce di medicinali proibiti. Squadra espulsa, arresti e perquisizioni, è un clima infernale, una bufera senza fine che si abbatte sulla corsa fra la perplessità della gente.

Ed a salvare il Tour de France, un fatto che i francesi poi dimenticheranno troppo in fretta, è proprio lui, Marco Pantani con le sue travolgenti imprese.

Si deve arrendere ancora una volta a Jan Ullrich nella lunga crono di Correzze e gli concede altri 4’21”. Ma sulle montagne si scatena. Recupera sui Pirenei, secondo a Luchon, in trionfo a Plateau de Beille, alla sua maniera, staccando tutti.

Poi vive quello che definirà il più bel giorno della sua vita, è un lunedì, il 27 luglio, quando la corsa approda a Les Deux Alpes scalando una vetta mitica per il ciclismo, il Galibier a quota 2645 metri, una decina di chilometri di perfida scalata con una pendenza media attorno al dieci per cento.

Piove e fa freddo, sembra una giornata autunnale. E gli scatti secchi e ravvicinati del Pirata su quella montagna appartengono già alla leggenda. Marco inizia la cavalcata trionfale a circa 5 km dalla vetta del Galibier. Scollina solo con 2’56” sul rivale. Si ferma in discesa per mettersi una mantellina a proteggersi dal freddo, mentre il tedesco lentamente va alla deriva.

Marco è scatenato anche sull’erta finale. Vince a braccia alzate a Les Deux Alpes ad a occhi chiusi, senza mascherare la fatica tremenda appena compiuta e ben visibile sul suo volto.

Ha rifilato a Ullrich in quella magica giornata 8’57”. E’ maglia gialla. Più forte di tutto, del tracciato e degli avversari. Il giornale L’Equipe gli concede tutta la prima pagina con una grande foto a colori che immortala il momento dello scatto sul Galibier. Il titolo è eloquente, è commovente:

C’est un geant. Sì, è un gigante, Marco. Ed il direttore della corsa francese, Jean Marie Leblanc, lo ringrazia pubblicamente:

Marco ha salvato il Tour ed ha ridato vigore al ciclismo, uno sport del quale il campione italiano rappresenta la faccia pulita.

Parole che in troppi poi hanno dimenticato in fretta. E’ il caso di ricordarlo ancora una volta.

A Parigi Felice Gimondi alza il braccio di Marco sul podio. Dopo 33 anni di sconfitte, proprio dall’ultimo successo di Gimondi, torniamo a vincere il Tour de France. Giro e Tour nella stessa estate, l’estate ’98. Come Fausto Coppi nel ’49 e nel ’52.

Marco ha 28 anni e la gente già pensa a quante future recite si potrà assistere al suo seguito sulle montagne del Giro e del Tour all’inizio del terzo millennio. Il ciclismo torna ad essere sport popolarissimo che fa sognare gli appassionati. Da fare invidia anche al calcio ed alla formula uno. Ma evidentemente ancora una volta il destino ha deciso in maniera differente.

Giro d’Italia ’99, la superiorità di Marco Pantani è ancor più schiacciante della stagione precedente. Non c’è storia, i rivali giorno dopo giorno sono costretti al ruolo di comprimari nella sua scia. Lo sport della bicicletta è più che mai scosso dalle quotidiane battaglie contro il doping e Marco nel suo ruolo di leader accetta di farsi paladino per il bene dei corridori. Gli costerà cara quella mossa?

Marco domina la scena, il primo numero ad effetto lo offre sul colle Fauniera in provincia di Cuneo. Aggredisce quella montagna e strapazza tutti i rivali. Adesso grazie a Ferruccio Dardanello, patron incontrastato nella corsa nelle terre cuneesi, quel colle sulle cartine geografiche si chiama Colle Pantani. E lassù c’è un monumento dedicato al Pirata.

Marco veste in rosa a Borgo S.Dalmazzo, si scatena ancora salendo a Oropa e compiendo un numero rimasto a lungo nella memoria degli appassionati. Nella scalata finale si deve fermare per un incidente meccanico alla sua bicicletta. Mancano circa 8 km al traguardo, i suoi compagni lo aspettano, davanti a sé ci sono ben 49 corridori scatenati in cerca della vittoria di tappa. E lui li supera tutti, uno alla volta, a gruppetti, sino a vincere la tappa. Un fenomeno. Secondo alcuni persin troppo forte, troppo cattivo contro rivali già mortificati dalla sua superiorità.

A Pampeago la recita si ripete, Marco in rosa è irresistibile quando la strada prende a salire. Vince anche a Campiglio quella che si definisce una tappa interlocutoria in attesa delle ultime grandi montagne. Non concede neppure più le briciole ai rivali. Un atteggiamento strano, conoscendo la generosità e la brillantezza di Marco.

Ed a Campiglio, ecco il dramma. Un episodio che già fa parte della storia del nostro sport. Storia triste ed amara.

Ad un controllo del sangue voluto dall’UCI per cercare di limitare l’uso della famigerata eritropoietina, i valori dell’ematocrito di Marco superano la soglia di 50, salgono a 52. Un mistero, un incubo, del quale mai si conosceranno i contorni.

Erano stati i medici sportivi delle squadre, certi tecnici a volere quel limite. Perché qualche corridore stava esagerando. Ma portare il limite a 50 fece discutere perché qualcuno naturalmente può arrivare a 52-53, è tutto molto soggettivo, dipende da molti fattori.

In ogni caso aver l’ematocrito alto non significava automaticamente aver preso l’Epo. A tal punto che Marco e gli altri pizzicati con quei valori non si dovevano e non si potevano considerare dopati. Non lo erano affatto. Veniva semplicemente ritirata la licenza per quindici giorni, poi si effettuava un nuovo controllo e se tutto tornava regolare, ecco il via libera per le corse. Nessuna squalifica.

Ma attenzione. I medici per esser ancor più certi dell’eventuale uso di Epo decisero la stagione successiva di comparare i valori non solo dell’ematocrito del sangue ma pure dell’emoglobina. Per non avere dubbi.

L’avessero fatto a Campiglio, Pantani non sarebbe stato fermato perché i valori dell’emoglobina erano nella norma. Sì, è davvero un destino ingrato, amaro, pazzesco. Colpa principali di dirigenti parecchio sprovveduti e incapaci. Quella legge sull’ematocrito a 50 come limite voluta due anni prima di Campiglio, nel ’97, avrebbe dovuto restare in vigore per pochi mesi, in attesa che gli scienziati trovassero l’Epo nelle urine di chi veniva esaminato. Perché invece ciò non accadde?

Mistero fitto. L’unica certezza è che a Campiglio Marco uscì di scena. Per sempre. Avrebbe potuto dimenticare tutto andando al Tour de France a contrastare Armstrong in montagna. Ma, scomparso Luciano Pezzi, nessuno nel suo clan seppe convincerlo a risalire in sella. Ecco un altro dramma.

Al Tour avrebbe dimenticato tutto, come accadde in situazioni analoghe allo stesso Merckx 30 anni esatti prima di Campiglio. Nessuno ha raccontato a Pantani quella storia?

Domande ed inquietudini che non servono più a niente. Marco del resto l’aveva confessato più volte:

Mi sono rialzato da tante disgrazie, da incidenti tremendi, ma questa volta non mi rialzerò più.

Si sentiva tradito, sbeffeggiato, escluso dal gran mondo del ciclismo.

Tornò in bici durante il Tour de France, c’era la possibilità di rientrare alla corse con la Vuelta di Spagna ed il Mondiale di Verona. Ma non ci fu verso. E nella sua Romagna cominciò a frequentare con troppa assiduità quelle che si definiscono le cattive compagnie.

Marco torna a correre in Spagna all’inizio del 2000, però si tratta di una falsa partenza. Poi, sparisce, poi dì’improvviso ecco la notizia che riaccende gli animi, che torna ad illudere la gente. Pantani corre il Giro d’Italia 2000. Non si sa in quali condizioni di forma, ma comunque parte.

Parte da Roma, dal Vaticano e l’incontro fra il campione e papa Giovanni Paolo II è un momento di grande commozione e di grande umanità. Marco è colpito da quell’incontro, toccato e commosso. Sembra in possesso di nuove motivazioni, forse ci siamo.

Però il ciclismo è davvero spietato come sport. Non si può bluffare, è la sua forza. Senza preparazione specifica, senza i canonici allenamenti neppure Pantani sa far miracoli. S’è allenato seriamente una ventina di giorni. Come fa a reggere quei ritmi contro avversari che pedalano da mesi e mesi?

Già, ma lui è un fenomeno, però quelle stesse montagne che l’avevano esaltato adesso lo respingono, giorno dopo giorno. Essendo comunque realmente un fenomeno, nel finale di Giro Marco è là a lottare fra i primi, per vincere la tappa più bella a Briancon, per aiutare l’amico Garzelli a spodestare Casagrande in rosa.

Il ricordo della stagione precedente in cui lui lasciava solo le briciole agli avversari è troppo fresco ed a Pantani non concedono nulla. Niente vittoria di tappa. Però al fianco di Garzelli la presenza di Pantani è importante. E nell’ultima inedita e spettacolare crono da Briancon a Sestriere, Garzelli compie lo spettacolare sorpasso in classifica a Casagrande e vince il Giro d’Italia 2000.

Anche Marco fa festa e conferma che andrà al Tour de France a sfidare Armstrong. Un ritorno da tutti gradito su strade che come sempre si negano ai grandi scalatori. Armstrong sfrutta le prove contro il tempo per dominare la scena. Però le montagne ci sono e Marco Pantani torna al proscenio su quella più classica, leggendaria e tragica, non poteva essere altrimenti. Il Mont Ventoux.

Nel finale di quella tremenda scalata, nel tratto privo di vegetazione, Pantani attacca e gli avversari si arrendono. Soltanto Armstrong riesce a riagguantarlo. E quella volata a due in quota farà discutere a lungo. Pantani vince, l’americano sussurra che lo ha lasciato vincere perché così meritava. Marco dedica il trionfo a mamma Tonina, che al suo fianco ha sofferto quanto lui nell’ultimo anno.

Ma il Tour procede. Pantani è scatenato anche sull’Izoard, altro monte storico. A Briancon stacca leggermente l’americano ma non vince la tappa perché restano al comando alcuni fuggitivi da lontano. E si va a Courchevel, altre montagne, altro traguardo in quota, ultimo spettacolo della vita per il Pirata. E’ domenica 16 luglio 2000.

All’inizio della salita finale di ben 22 km è al comando un drappello di protagonisti di giornata. Ci sono anche due italiani, Nardello e Lelli. Hanno più di quattro minuti di vantaggio. Pantani attacca fin dalle prime rampa di quella lunga scalata, irresistibilmente. S’arrendono ben presto Virenque e Ullrich, mentre Armstrong segue il Pirata. Una decina di corridori al comando vengono superati a doppia velocità. Nardello dirà:

Quando mi è passato al fianco Marco, pensavo fosse una moto.

Marco ad un certo punto si volta e vede che Armstrong è un po’ in difficoltà. Allora riparte, accelera ancora e stacca Lance. I francesi, che non amano molto l’americano, esultano ai bordi della strada. Pantani straordinario accelera ancora una volta perché vede davanti a sé l’ultimo superstite di quella lunga fuga, lo spagnolo Jimenez.

Lo riprende e lo passa a 3 km dall’arrivo. Finalmente è solo davanti a tutti su di una montagna del Tour de France. Come a lungo aveva sognato. E’ tornato il Pirata.

Sulle Alpi però il Tour vive una tribolata e tesa giornata di riposo. Armstrong in tivù si scaglia contro Pantani. Dice che sul Ventoux l’aveva lasciato vincere perché si meritava quel successo dopo quanto aveva ingiustamente patito. Ma non farebbe mai più quel gesto, visto quanto accaduto a Courchevel. E Marco è pronto alla replica secondo il suo istinto.

Vuol far saltare per aria il Tour de France, intende far pagare all’americano certe dichiarazioni. Nella successiva tappa di Morzine attacca sul col de Saisies quando mancano ancora 130 km al traguardo. Una splendida follia. Ma pur sempre una follia. Chi si trova allo scoperto con lui non collabora perché si rende conto che poi sulle ultime salite verrebbe giustiziato.

Quell’attacco non previsto così da lontano mette tensione addosso ad Armstrong in maglia gialla. Sono momenti più che mai spettacolari. Pantani però in prima fila si lascia assecondare soltanto dall’istinto, non dalla ragione. Dovrebbe anche alimentarsi, la distanza è ancora notevole, invece ingerisce soltanto zuccheri ed energetici liquidi. Prende freddo in discesa perché non vuol fermarsi a coprirsi. Lo spinge soltanto la rabbia e l’intenzione di farla pagare cara all’americano.

Purtroppo però va in crisi all’improvviso dopo 82 km di fuga, quando ne mancano ancora 44 all’arrivo e si deve scalare il temibile col de Joux Plane. E’ la resa. Armstrong rischia di perdere il Tour ma Pantani va ancor più in debito, sta male, ha crisi di dissenteria ma non può nepure fermarsi sul bordo della strada, dietro un cespuglio. C’è troppa gente. E’ una sofferenza che s’aggiunge ad altre sofferenze. E la sera arriva pure la febbre alta, a tal punto da costringerlo ad abbandonare il Tour, a lasciare la Francia.

E’ un altro duro colpo al suo morale. A poco serve per risollevare gli animi la chiamata in azzurro ed un’anonima prova ai Giochi di Sydney.

Sono stagioni amare le prime del terzo millennio, il 2001, il 2002. Marco corre ma quasi sempre non riesce a portare a termine le corse alle quali partecipa. Fa notizia più per i problemi giudiziari che per le imprese sportive.

C’è un accanimento contro Pantani che mette i brividi addosso. Ma perché? Forse perché occupandoci di Marco si finisce regolarmente in prima pagina. Ci si fa della bella pubblicità?

La vicenda emblematica è quella legata al Giro d’Italia 2001, a quella siringa d’insulina trovata nella camera d’albergo del Pirata a Montecatini. Ma attenzione, quando l’albergo viene perquisito quella camera è aperta, dentro non c’è nessuno, Siamo sicuri che abbia dormito Pantani in quella stanza? No. E poi, se era aperta quella camera, al mattino qualcuno avrebbe potuto sbarazzarsi di una siringa usata per non destar sospetti.

Eppure per la giustizia sportiva Pantani è assurdamente colpevole. La Federciclo gli affibbia 8 mesi di squalifica che poi la commissione d’appello giustamente annulla. Ma a quel punto si muove l’UCI, che non riconosce quel secondo grado di giudizio e si appella al Tribunale amministrativo dello sport per fargli scontare la pena. E questi riduce di due mesi la sospensione. Però gliela fa scontare. Ecco un altro episodio inquietante che contribuisce a far andare alla deriva il Pirata.

E dire che in tanti ancor gli vogliono bene. Romano Cenni, patron della Mercatone Uno, lo considera una sorta di figlio ed accetta di dar corpo alla ricostruzione dell’uomo e del campione. Si affida a Davide Boifava, che lo guidò da ragazzo ai primi trionfi. Marco ci crede, torna alle corse nel 2003, sfiora il clamoroso successo addirittura in volata a Sassuolo, ultima tappa della Settimana di Coppi e Bartali. Lo rimonta in extremis il moldavo Ruslan Ivanov. Forse ci siamo. Ma soltanto forse, perché il campione di un tempo ha delle ricadute improvvise e si perde nelle inquietanti notti romagnole. C’è il Giro d’Italia che lo aspetta, lui però l’affronta non certo al meglio della forma fisica. Alcuni segnali sono comunque importanti, come quando cerca la vittoria di tappa alle Cascate del Toce, l’ultimo scatto di una vita e gli avversari che nuovamente lo temono non gli concedono spazio.

Si tratta soltanto di insistere e di riprovarci col Tour de France. E’ tutto pronto, basta un cenno di Marco.

Ma quel cenno non arriva più. E la sua odissea diventa tragica e tremenda, giorno dopo giorno, mese dopo mese, all’insegna d’una serie di eventi che non vogliamo più ricordare, perché a noi interessa tener vivo nella memoria il campione splendido ed inimitabile più che l’uomo con le sue debolezze e che ha dovuto sopportare troppe ingiustizie.

In tanti hanno cercato di aiutarlo negli ultimi mesi della sua esistenza, non solo i genitori. Purtroppo era troppo tardi per Marco.

Lo trovarono privo di vita la sera di San Valentino, il 14 febbraio 2004, in un anonimo residence di Rimini, annientato da quella maledetta polvere bianca, fra tanti, irrisolti misteri.